Il welfare aziendale rappresenta una delle più interessanti novità di policy degli ultimi anni. Si tratta di uno strumento versatile, in grado, almeno sulla carta, di rispondere a bisogni differenti.

Utile all’impresa che vuole incrementare il livello di ingaggio dei propri dipendenti, attraverso una leva più “agile” rispetto a quella prettamente salariale, ai lavoratori che ottengono maggior servizi. Allo stesso tempo, altri attori possono ottenere dei benefici, diventando erogatori di servizi di welfare nell’ambito dei pacchetti offerti, così pure il sistema di protezione sociale pubblico potrebbe, in una logica di integrazione, ottenere risorse addizionali in aree sotto-finanziate o prive di coperture.

Qui il tema dell’impatto sociale diventa determinante per comprendere, in primo luogo, l’efficacia di questo strumento, che beneficia di uno schema fiscale di favore.

Possiamo preservare e rafforzare quest’innovazione di politica, producendo evidenze di impatto che giustifichino minori entrate per l’Erario? Possiamo, inoltre, ragionare in termini di integrazione tra i differenti livelli del welfare, creando sistemi di protezione che, nella società dell’incertezza, vadano a coprire nuove aree di bisogno?

La valutazione, come esercizio di riflessività e di apprendimento, può aiutarci a comprendere i punti di forza e di debolezza del welfare integrativo, fornendoci degli strumenti preziosi per orientarci meglio nella vorticosa crescita di questa innovazione.

Ne hanno parlato durante il convegno organizzato da Impronta Etica e Social Value Italia – il 27 Novembre a Bologna – analizzando casi di best practices pubbliche e private.

Anna Lisa Balestra, Responsabile Area Sostenibilità di SCS, ha facilitato il tavolo di lavoro “Welfare: esperienze a confronto nel pubblico e nel privato”.

 

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