Servant Leadership articolo

Servant Leadership: cosa significa in pratica?

La prima volta che abbiamo parlato ad un cliente di Servant Leadership, anni fa, riprendendo i concetti chiave espressi da Robert K. Greenleaf negli anni ’70, ci siamo sentiti dire che non si poteva parlare di “manager al servizio”. Mi è rimasto molto impresso questo commento perché pensai: “se il manager non è al servizio, per cosa viene pagato? Che valore produce nel lungo periodo?”.

Provo a spiegarmi meglio.

Già il contesto iniziava a complicarsi pre-pandemia, tutti a parlare di VUCA, di incertezza, di cambiamento continuo, di digital transformation; poi è arrivata la pandemia, che ha fatto capire “per davvero” cosa fosse l’incertezza, quali fossero i benefici di approcci veramente agili (e non solo nelle slide dei convegni) e di quanto la digital transformation fosse fondamentale. Soprattutto si è vista la differenza nello stile di leadership, di chi era in grado, senza sforzi, di lavorare ovunque, di coordinare e ascoltare i colleghi, di gestire contingenze senza perdere la vista sistemica, di procedere nel miglioramento continuo.

Perché i manager, certamente sono responsabili per i risultati, ma lo devono essere in una accezione ampia: i risultati devono essere ripetibili, sostenibili e realizzati attraverso la valorizzazione dei propri colleghi, di cui devono essere attivatori, tutto questo per concretizzare un impatto positivo continuativo.

Si è creato uno spartiacque e indietro non si torna, almeno non torneranno indietro le persone che amano i cambiamenti, le sfide, l’apprendimento continuo, per cui il “dove si lavora” è assolutamente irrilevante, mentre è trascinante la voglia di incidere!

La Servant Leadership e la sua evoluzione

Il Servant Leader è a servizio del gruppo di lavoro e si fa promotore dello sviluppo delle personemettendo a valore le loro competenze per il raggiungimento degli obiettivi organizzativi, che devono essere sempre più orientati ad uno sviluppo sostenibile. Pone in secondo piano i propri interessi personali, mettendo al primo posto gli stakeholder con cui si relaziona (clienti, utenti, sia interni che esterni, colleghi, collaboratori, …); fa leva sulla fiducia, alimenta la motivazione intrinseca, sviluppa la capacità di produrre innovazione e di valorizzare le diversità (di genere, di generazione, di competenze, …).

Come in un circolo virtuoso, il servant leader, grazie al suo approccio relazionale e gestionale, trasferisce ai collaboratori la strategia organizzativa. In seguito, le persone concretizzano la strategia in performance in-ruolo ed extra-ruolo. Nell’attuale momento di crisi, che è stata prima sanitaria e ora geopolitica, le performance extra-ruolo sono fondamentali per essere in grado di gestire e affrontare l’incertezza quotidiana, fatta di adattamento a nuovi strumenti e modi di lavorare e comunicare, spesso mai praticati prima. Oltre all’evidente possibilità di favorire lo sviluppo di una cultura di servizio e di competenze di servizio a tutti i livelli aziendali, adottare un simile stile di leadership ha risvolti positivi trasversali. Si promuove così il work engagement che ha un impatto positivo sulla soddisfazione lavorativa e sull’autoefficacia.

In sintesi, quindi, è auspicabile che le organizzazioni attirino e/o sviluppino Servant Leader. E’ facile convenire che quelle che già avevano investito sull’introduzione di tali figure (attraverso formazione e/o nuovi ingressi) e sulla diffusione di una cultura di servizio, affrontano le situazioni straordinarie con più fluidità e maggiore attivazione da parte dei collaboratori. Infatti, le persone sanno di avere alle spalle qualcuno che “li mette al centro” e che sappia ascoltare, accogliere e gestire le incertezze che giorno dopo giorno affrontano, anche di tipo emotivo, oltre che operative.

Tutto questo genera un vantaggio competitivo che Organizzazioni basate su modelli più gerarchici e con una struttura più rigida devono recuperare… ma è tutto perduto?

La fortuna è che si può apprendere a disapprendere e ad apprendere nuovamente, per cui è possibile avviare percorsi per la revisione dei modelli organizzativi (ne parleremo), per lavorare sulla leadership (non con l’ennesimo modello, ma con comportamenti e processi coerenti), affinché si possano creare e misurare gli impatti positivi di cui si parlava in precedenza.

E per i manager che non vogliono lavorare per diventare “impact leader”? Nessun problema: tra qualche anno verranno sostituiti nel loro stile “command&control” dall’intelligenza artificiale!

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