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Le quote rosa in azienda

Le quote rosa in azienda

Le quote rosa in azienda

E l’attitudine a criticarle anche quando non ci sono

Nel lontano 2011, in una notte buia per il genere maschile, la legge Golfo-Mosca diviene realtà: per le società quotate in borsa e per quelle a controllo pubblico sarà obbligatorio che almeno un terzo dei consiglieri d’amministrazione siano donne. Anzi, per essere precisi, che almeno un terzo appartenga al “genere meno rappresentato” – per cui esiste un improbabile futuro in cui questa legge potrebbe addirittura tutelare gli uomini (e chissà cosa succederà se e quando le persone non binarie otterranno un riconoscimento giuridico). In ogni caso, per il momento, bene per le femminucce male per i maschietti.

Intanto, cominciano ad essere calcolate le performance sull’inclusione con diversi indici, e qualcuno comincia pure a buttarci un occhio quando deve scegliere su cosa investire. E gli indici crescono anche in base al numero di donne presenti nelle organizzazioni, specie se in posizioni apicali. Di nuovo, bene per le femminucce, male per i maschietti.

Infine, come se non bastasse, le aziende hanno anche cominciato a darsi degli obiettivi di rappresentanza femminile, persino rendendoli pubblici (come ad esempio in questo caso o in questo). Per i maschietti sono tempi durissimi.

Per fortuna, si leva alto dai nostri cuori un grido che ci unisce, uomini e donne, insieme per ciò che è giusto: “Le quote rosa non sono meritocratiche!”. Anche se, va detto, la versione migliore è quella femminile: “Da donna, mi sento insultata dal fatto che io debba essere scelta solo in quanto donna”. E si capisce: millenni di educazione alla cattolica sudditanza verso il marito non spariscono in un attimo con la favoletta dello stato laico. Ma sia chiaro che a parti inverse, ovvero se fossero introdotte delle quote azzurre, i maschi esulterebbero a reti unificate, visto che in loro il naturale istinto alla ricerca del proprio vantaggio è solitamente esaltato dall’educazione, non mortificato.

Non divaghiamo però: c’è da capire se queste quote rosa sono utili o no.

Anzitutto, occorre fare chiarezza: soltanto nel caso della legge Golfo-Mosca è corretto parlare di quote rosa (oltre che in politica naturalmente, che però non è il nostro tema). Negli altri casi citati, le aziende mettono in atto scelte strategiche che hanno un impatto positivo sul bilanciamento di genere, e lo fanno perché conviene (se ritenete che non sia abbastanza nobile, consigliamo di tornare alla puntata precedente). Non si tratta quindi di dire ai manager “Devi promuovere almeno una donna all’anno” (fa ridere, vero?), ma di mettere in campo tutte una serie di interventi (formativi, di sensibilizzazione, di revisione dei processi…) con l’obiettivo di schiodare quel numerino imbarazzante che c’è alla casella “donne che contano qualcosa nell’organizzazione”.

Ma siamo onesti: queste sono finezze! Di fatto è la stessa cosa, dicono i più arguti tra noi: si favoriscono le donne perché sono donne, e questo proprio non ci piace – “è una discriminazione al contrario!”. E la discriminazione è una brutta cosa, quindi non vogliamo risolverne una introducendone un’altra.

In teoria, niente da dire. In pratica, è utile fare un esempio concreto.

Ci sono il maschietto M e la femminuccia F. Entrambi sperano di ottenere una promozione, che cercano di raggiungere per merito. Il tempo passa ed è chiaro che M sia più bravo di F, come fotografato anche dalle valutazioni della loro performance. Ma quando arriva il momento della scelta, la preferenza cade su F: il responsabile di M ed F sa bene che M è più bravo, ma siccome c’è da aumentare il numero di donne manager, ecco che sceglie F.

Questo è ciò che succederebbe se ci fossero davvero le quote rosa. Ma siccome non ci sono, semplicemente questa cosa non succede, perché prima di essere inclusivi i manager sono manager. Ed è ovvio che premino il merito – ammesso che sappiano valutarlo correttamente, senza bias e pregiudizi… ma questa è un’altra storia.

Cos’è che invece può succedere nelle aziende che hanno non le quote rosa ma una strategia che si pone come obiettivo di aumentare la rappresentanza femminile in posizioni di leadership? Può succedere che le donne vincano i pareggi.

Può succedere cioè che M ed F siano bravi più o meno allo stesso modo, e che quindi la scelta fra loro sia difficile. Il responsabile, alla fine, dovendo pur prendere una decisione, sceglie F perché contribuisce in questo modo a raggiungere un obiettivo strategico (più donne in posizioni di leadership) senza sacrificare una persona più meritevole.

Il fraintendimento di fondo è che queste strategie premino donne non meritevoli a scapito di uomini meritevoli. Non è così: al massimo, premiano donne meritevoli a scapito di uomini meritevoli. Questo proprio perché le organizzazioni non possono permettersi di non scegliere in base al merito – per questo non impongono delle vere quote rosa.

Ma allora, è giusto che tanti uomini vengano battuti da donne brave quanto loro e non di più? .

Perché la verità è che, nel regime di quote azzurre in cui di fatto viviamo oggi, i pareggi li vincono gli uomini perché “metti che poi rimane incinta…” – e anzi, a volte forse non è nemmeno un pareggio…

È vero, si tratta di un sistema inelegante, di un intervento esterno per modificare artificialmente una situazione che è frutto di una cultura antichissima: ma data l’urgenza dello scopo – su cui mi pare di capire siano tutti d’accordo a parole – si può anche accontentarsi. Anche perché, pragmaticamente, non mi sembra esistano vie altrettanto veloci.

Alla luce di questo, se sei ancora tra coloro che criticano le “quote rosa” nelle organizzazioni, è probabile che tu appartenga ad una delle seguenti categorie:

  1. Sei un maschietto che non vuole mollare nemmeno un pezzetto, quindi neanche “perdere i pareggi”. In questo caso hai tutta la mia simpatia, perché non esiste movente più nobile dell’interesse personale – il consiglio è solo di ammetterlo e non nascondersi dietro argomentazioni barocche che contengono la parola “sociale”;
  2. Sei una femminuccia comprensibilmente intrisa di cultura patriarcale (l’ho detto!) a causa di educazione e pressioni sociali che si sono innescate al taglio del cordone ombelicale. Anche in questo caso hai tutta la mia simpatia, perché l’educazione è tra le forze più potenti che esistono sulla terra.

Di sicuro, l’unico augurio possibile è che i nostri figli e le nostre figlie non debbano occuparsi di queste cose.

Ad oggi, sembra che le “quote rosa” siano la via più veloce per raggiungere questo risultato.

 

Di Daniele Scollo

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